domenica 10 marzo 2019

Giornata della Legalità 2019

Organizzazione attività a classi aperte
Classi terze

Il giardino della memoria- Sessa Aurunca(Caserta)Bene confiscato alla camorra e restituito alla comunità

 Sono trascorsi ormai 25 anni da quel fatidico 19 Marzo 1994, quando Don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe, in provincia di Caserta, venne ucciso, il giorno del suo onomastico, in chiesa, mentre si accingeva a prepararsi per la messa. 
Un uomo coraggioso, che ci ha lasciato un messaggio di immenso valore, mostrando, con le sue scelte di vita la strada da intraprendere per combattere contro la criminalità, la violenza, l'arroganza di chi, senza scrupoli, si arricchisce a discapito della vita di altri esseri umani.
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Stanco di vedere tante vittime per mano della camorra, soprattutto tra i più giovani suoi concittadini, spazzati via dalla violenza più cupa della lotta tra clan o a causa della droga, nel 1991 decide di ribellarsi scrivendo il documento "Per amore del mio popolo non tacerò", sottoscritto, oltre che da lui, da altri sacerdoti di Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa, Villa Literno, Villa di Briano e Casapesenna.
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Per amore del mio popolo non tacerò
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“Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra…
La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana. I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni, tangenti, traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato. 
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 E’ oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi. 
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Il nostro impegno di denuncia non deve e non può venire meno.”
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 Il suo Killer si presentò in chiesa, precisamente nella sagrestia, alle ore 7,30 e gli domando: " E' lei don Peppe ?"
"Sì, sono io"- sono state le sue ultime parole.
Cinque colpi rimbombarono nelle navate, due pallottole lo colpirono al volto, le altre bucarono la testa, il collo, la mano. Avevano mirato alla faccia. Aveva trentasei anni.

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 Sgomento generale quando si diffuse la notizia di quanto accaduto; la violenza aveva colpito al cuore una comunità, che adesso trovava la forza per aprire gli occhi e rompere quel muro di omertà costruito da secoli di disagio, soprusi e sopraffazione. Furono soprattutto i giovani a scendere per le strade gridando il suo nome. Ma… cosa vedo laggiù… guardate anche voi, sì, voltatevi… dai balconi delle case sventolavano mille lenzuola bianche, una pioggia di stoffe candide legate alle ringhiere e alle finestre. 
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Coreografia: “Sono solo parole” 
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 No, Non sono solo parole. Sono molto di più. Sono strane le parole, possono ferire, ti trafiggono come lance appuntite, un vortice senza fine che fa male, travolge all’improvviso, quando non ti aspetti. Oppure sono come fiori, che con i loro colori ed il loro profumo arricchiscono il mondo di una nuova bellezza. Le parole sono un’arma potentissima per diffondere messaggi, per divulgare un pensiero positivo, dei valori morali e civili. La camorra non si combatte con le sue stesse armi, la violenza non cancella la violenza né l’odio che da essa ha origine. Per questo motivo gli eroi della legalità decidono di utilizzare l’arma più potente che sia stata data all’uomo: la parola. Ha inizio, così, la loro azione di denuncia. In luoghi e tempi diversi essi hanno manifestato il proprio dissenso e, per il significato simbolico che la loro opera ha assunto nella lotta alla criminalità, sono diventati degli emblemi di giustizia e legalità.


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Da Don Peppe ad un altro Giuseppe, anzi, Don Pino, regione diversa, stesso destino. Parliamo di Don Pino Puglisi, un altro sacerdote ed insegnante che con la parola e con l’esempio ci ha insegnato a reagire per amore della legalità.  
“Mi ricordo ancora la prima lezione con lui. Si era presentato con una scatola di cartone. L’aveva messa al centro dell’aula e aveva chiesto cosa ci fosse dentro. Nessuno aveva azzeccato la risposta. Poi era saltato sulla scatola e l’aveva sfondata. <<Non c’è niente. Ci sono io che sono un rompiscatole>>. Ed era vero. Uno che rompe le scatole in cui ti nascondi, le scatole in cui ti ingabbiano, le scatole dei luoghi comuni, le scatole delle parole vuote, le scatole che separano un uomo da un altro uomo, simulando muri spessi come quelli della canzone dei Pink Floyd.”
Esistono muri di pietra, duri, difficili da scavalcare, e muri invisibili che dividono le persone. Sono i muri dell’omertà, dell’indifferenza, del razzismo così difficili da sradicare. 
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 Vi voglio raccontare una storia. Siamo a Castelvolturno, un tempo ridente cittadina del litorale domizio, oggi un paese di frontiera, dove i clan si fanno la guerra per il controllo del territorio e lo spaccio di droga.  Proprio qui avviene una delle stragi più terribili da parte della camorra, la strage di San Gennaro. La sera  del 18 Settembre 2008 furono sparati più di 130 colpi con pistole e kalashnikov contro alcuni immigrati che si trovavano dentro e fuori la sartoria Ob Ob Exotic Fashion a Ischitella, frazione di Castel Volturno. Furono uccise sette persone, mentre Joseph Ayimbora, sopravvissuto fingendosi morto, nonostante la mitragliata di colpi che lo aveva centrato alle gambe e all’addome, riuscì ad avere il tempo di guardare in faccia chi gli aveva sparato e altre due persone e la sua testimonianza fu decisiva per riconoscere gli autori della strage. Gli assassini sono stati tutti arrestati e condannati per strage con l’aggravante dell’odio razziale. 

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L’indomani della strage, il 19 settembre, centinaia di  immigrati inscenarono una protesta, anche violenta, contro la camorra e le condizioni di degrado in cui vivevano e successivamente, il 9 novembre,  fu organizzato un concerto per contrastare la criminalità e diffondere i valori del diritto, dell’uguaglianza e dell’integrazione. Ospite d’onore la cantante Miriam Makeba, Mama Africa, sostenitrice dei diritti umani e della minoranza di colore in particolare. Sudafricana, aveva lottato insieme a Nelson Mandela per l’abolizione della segregazione razziale nel suo paese ed era stata costretta all’esilio. La sua lotta per l’uguaglianza e la dignità umana è continuata in tutto il mondo attraverso le sue canzoni e si è conclusa proprio su quel palco di Castelvolturno. Miriam si è sentita male durante il concerto, ma ha terminato lo stesso il suo intervento ,nonostante il malore, ma l’attacco cardiaco fu per lei fatale. Il grande cuore di “Mama Africa” scelse di fermarsi in un’altra Africa, quella casertana. 
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«Ci sono tre cose per le quali sono venuta al mondo - ripeteva Miriam Makeba - e ci sono tre cose che avrò nel cuore fino al giorno della mia morte: la speranza, la determinazione e il canto». Vi vogliamo lasciare con una sua canzone, un inno alla gioia ed alla vita, perché, nonostante i mille problemi della società, ciascuno si impegni con forza e determinazione per colorare questo mondo, perché la bellezza lo renda migliore.
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Coreografia Pata Pata