martedì 24 novembre 2020

#Orangetheworld

25 Novembre-10 Dicembre 2020


Dati: 

 -Il 35 % delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nella sua vita una qualche forma di violenza
 -8 vittime su 10 non hanno la forza di denunciare di essere state vittime di violenza né l’autore della violenza stessa.
-La violenza psicologica non fa meno male di quella fisica.
 -Offendere, opprimere, umiliare, mortificare, denigrare: anche questa è violenza.
 -Casa: luogo dove ricevere amore, rispetto, protezione. Per tante donne oggi  la casa non è un luogo sereno e la convivenza forzata non è affatto rassicurante.
 -In questi mesi di emergenza i casi di violenza domestica  sono aumentati vertiginosamente, così come le richieste di aiuto.
- 91: femminicidi verificati da inizio anno 2020 ( 1 ogni 3 giorni)
- Il lockdown ha visto triplicare il fenomeno.
Messaggio: 
-Ricorda, donna, non sei sola, se hai bisogno non esitare a chiedere aiuto.
-Fai come me: dici NO al silenzio.
-E tu, uomo, se potessi guardare con gli occhi di una donna, riusciresti a percepire come si sente.
-Ricorda: se ami qualcuno non gli fai del male. 
-L'amore non può essere violento.
-Rendiamo ogni donna libera dalla violenza.









 

sabato 21 novembre 2020

 A Silvia- Commento

A Silvia è uno dei canti più famosi di Leopardi, viene anche definito " Canto della rimembranza", perché fu scritto quando il poeta si trovava a Pisa, lontano dalla città di Recanati, di cui ricorda avvenimenti e figure del passato.

L'interlocutrice silenziosa, il Tu a cui si rivolge il poeta è Silvia, una figura femminile divenuta simbolo del tempo che passa e della perdita di tutte le illusioni di felicità. Quest'opera non è una poesia d'amore, ma il poeta ha tratto ispirazione dalla rimembranza della prima adolescenza, quando erano ancora vive e fortemente sentite le illusioni di felicità, poi distrutte dalla ragione nell'età adulta.

Non si sa se Silvia sia realmente esistita e vissuta negli stessi anni del Leopardi o se sia totalmente frutto della fantasia del poeta, ma comunque il Leopardi l'ha trasfigurata, facendone l'immagine ed il simbolo della giovinezza.

Molti studiosi si sono chiesti chi sia Silvia, identificandola alcuni con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta ancora giovanissima di tisi, altri con Maria Belardinelli, figlia di un cappellaio. Questo nome è stato scelto dal Leopardi per la sua musicalità ed in riferimento alla ninfa amata dal pastore Aminta nella celebre opera di Torquato Tasso.

Questa lirica è una canzone libera, in cui compaiono strofe di diversa lunghezza ed un alternarsi di endecasillabi e settenari in maniera libera. Il poeta riprende il genere della canzone ma rinnovandolo rispetto al modello petrarchesco.

Fu scritta nel periodo in cui il poeta era radicato nella convinzione dell'immutabilità del tragico destino umano ( pessimismo cosmico).

La lirica si apre con una domanda, il poeta si rivolge ad un "TU", chiamandola per nome e le chiede se anche lei ricorda il bel tempo della giovinezza quando era ancora in vita e la sua bellezza risplendeva attraverso i suoi occhi " ridenti e fuggitivi". l'aggettivo ridenti indica che essi sono pieni di gioia, di speranze per il futuro, "fuggitivi" per indicare la timidezza, insicurezza della fanciulla che sta per approcciarsi alla vita adulta. Si tratta, infatti, di una giovanetta che sta per oltrepassare la soglia della gioventù, passando dall'infanzia all'età adulta, diventando donna. Ella è definita con l'aggettivo "lieta" perché piena di vita e di entusiasmo, ed allo stesso tempo "pensosa", per le inquietudini al pensiero del futuro.

A questo punto intervengono i ricordi, il canto di Silvia che risuonava tutt'intorno giungeva fino all'orecchio di Giacomo. La ragazza viene descritta, infatti, intenta ad intonare un canto mentre si dedicava alle "opre femminili", immaginando nel contempo un futuro bellissimo, pieno di sogni da realizzare.

Nella strofa successiva ritroviamo le abitudini del poeta, che trascorreva le sue giornate immerso negli studi, definiti nello stesso tempo amati e faticosi ( " Studi leggiadri" e "Sudate carte" ) e si affacciava la balcone della casa paterna per ascoltare meglio il suono della voce della fanciulla e sentire il rumore della sua mano che percorreva il telaio.

Poi uno sguardo tutt'intorno, partendo dalle cose vicine( il cielo e gli orti circostanti) fino ad arrivare alle cose più lontane, ammirando da una parte il mare Adriatico, dall'altra gli Appennini.

A questo punto il poeta riprende il dialogo con Silvia, dicendo che non riesce ad esprimere a parole quello che provava dentro di sé ( che speranze, che cori, o Silvia mia!)e come immaginava allora la vita, il futuro felice e pieno di speranze. Subito dopo ritorna alla realtà e dice che nel presente al ricordo di tutte quelle speranze sente dentro di sé tanta sofferenza e dolore.

Dal verso 40 abbiamo il racconto del destino di Silvia: ancor prima che arrivasse l'inverno ( l'età adulta) muore giovane a causa di una malattia incurabile, prima di aver vissuto la sua vita, i sentimenti più belli, tra cui l'amore.

Nell'ultima strofa il poeta ritorna a parlare di sé e dice che, ormai passata la giovinezza, come simboleggia la morte di Silvia, ha perso la speranza di essere felice.

Il poeta conclude con tanti interrogativi: Questo è il mondo? questa la realtà? Queste le belle illusioni? E si rende conto che il destino dell'uomo è fatto solo di infelicità.



 I terremoti: Videolezione



sabato 14 novembre 2020

 La politica di Cavour 

e la seconda guerra d'indipendenza

Il dibattito politico dopo il 1848





mercoledì 11 novembre 2020

 Il Dolce Stil Novo

Lettura ed analisi del sonetto 

"Io voglio del ver la mia donna laudare"

Di Guido Guinizelli








domenica 8 novembre 2020

 I moti della Terra


La struttura della Terra



 Giacomo Leopardi

Mappa concettuale


Le fasi del pensiero leopardiano

I concetti fondamentali della visione del mondo di Leopardi sono la felicità e l'infelicità.
Il poeta si chiede se, poiché l'uomo aspira naturalmente alla felicità, avrà mai la possibilità di raggiungerla o se rimane soltanto un ideale irraggiungibile. Il tempo, le esperienze personali, le riflessioni critiche portano il suo pensiero a subire continue evoluzioni, che chiameremo Fasi.
Secondo Leopardi il desiderio di raggiungere la felicità è sconfinato, mentre l'uomo è un essere materiale finito e limitato nel tempo, per cui quell'ideale appare irraggiungibile e determina il pessimismo leopardiano.
Durante la sua giovinezza si guarda intorno ed avverte un contrasto tra la sua vita e quella delle persone che lo circondano, per cui giunge alla conclusione che la sofferenza, l'infelicità che prova siano dovute al suo modo di essere, al suo carattere, alla sua continua indagine introspettiva, alle sue idee diverse dagli altri. vede i suoi coetanei felici, spensierati, mentre lui non partecipa a questa spensieratezza , si sente diverso dagli altri ed elabora una concezione pessimistica della realtà. (Pessimismo individuale)
Quando si sente tormentato trova conforto attraverso lo studio, i libri e nella natura; stare a contatto con l'ambiente naturale gli dona una sensazione di benessere, tanto da definire la Natura come una "Madre dolcissima" che ama le sue creature.
Passa il tempo ed il giovane Leopardi cresce, diventa adulto, completa la sua formazione ed anche il suo pensiero approda alla seconda fase, chiamata "Pessimismo storico": tutti gli uomini sono infelici per natura e l'aspettativa della felicità è più grande della felicità stessa.
Il poeta si domanda se l'infelicità riguardi solo l'uomo moderno o l'essere umano in tutte le epoche storiche e giunge alla conclusione che solo l'uomo moderno è infelice.
Un tempo, dice Leopardi, esisteva un'epoca , in cui gli uomini potevano essere felici, grazie alla forza dell'immaginazione ma nell'epoca moderna, caratterizzata dal dominio della scienza tutto è cambiato.
La visione materialistica della realtà ha dimostrato che tutto ciò che esiste è fatto di materia, costituita da atomi e molecole in continuo aggregarsi e disgregarsi e che nulla esiste oltre la materia stessa, nulla di metafisico, immateriale, come l'idea di Dio, dell'anima , di un mondo ultraterreno. Questa consapevolezza ha posto fine alle illusioni, alla fantasia, all'immaginazione, per questo l'uomo moderno non può più essere felice.
Inoltre la natura adesso non è più vista come una madre buona, ma come una matrigna, regolata da leggi fisiche immutabili che non tengono conto del destino dell'uomo.
Nell'ultima fase del pensiero leopardiano il pessimismo del poeta aumenta ancora di più, tanto da essere definito "Pessimismo cosmico", un'infelicità che riguarda non solo tutti gli uomini, ma tutte le creature viventi, tutti i luoghi della Terra e si manifesta in tutte le epoche storiche.
Uno dei simboli del pessimismo leopardiano è una piantina, la ginestra, che egli vedeva fiorire durante il suo soggiorno presso Antonio Ranieri a Napoli, presso le pendici del Vesuvio. Questa piantina cresce in un territorio arido ed inospitale, inadatto alla vita, ma nonostante tutto resiste, continua a vivere e a lottare. Questo è l'atteggiamento del poeta, che pur consapevole dell'infelicità non si arrende, ma affronta a testa alta il destino.



martedì 3 novembre 2020

 Ugo Foscolo "Dei Sepolcri"


Una delle opere più conosciute di Ugo Foscolo è costituita dal Carme "Dei Sepolcri", una lirica ampia e articolata, composta a tanti versi, un susseguirsi di immagini, notizie e scene diverse. Il poeta scrive quest'opera dopo un evento realmente accaduto: era sceso Napoleone in Italia, con l'esercito francese aveva portato nuove idee e nuove leggi, tra cui l'Editto di Saint Cloud, che stabiliva il divieto di seppellire i defunti all'interno delle chiese ma di costruire cimiteri nelle zone periferiche delle città. Questo provvedimento era dovuto a motivi igienico- sanitari, per evitare la diffusione di malattie ed epidemie dovute alla proliferazione di germi e batteri dalla decomposizione.

Questo provvedimento fece nascere molte discussioni tra chi esprimeva parere favorevole e chi sosteneva idee contrarie, considerandolo contro la morale e la religione. Anche Foscolo affronta il problema una sera, intavolando una discussione con l'amico Ippolito Pindemonte; quest'ultimo aveva espresso parere favorevole nel suo poemetto intitolato "I cimiteri" e chiede a Foscolo di esprimere la sua opinione, ma lui esita e decide di scrivere la sua risposta componendo il Carme "Dei Sepolcri".

In quest'opera il poeta dice che le tombe hanno valore importantissimo e che è sbagliato toglierle dalle chiese per l'alto valore morale, civile. Per Foscolo la tomba costituisce una delle più grandi illusioni, che permette di oltrepassare i limiti temporali della materia e di continuare il rapporto con i cari estinti. Inizia dicendo che le tombe sono importanti per tutti gli uomini perché il ricordo dei cari continua a vivere attraverso quella che Foscolo chiama "celeste corrispondenza di amorosi sensi", il legame d'amore che ci lega.
Se questo è vero per tutti gli uomini, il valore della tomba è ancora più evidente per i grandi uomini. Nella sua opera il poeta parla della  visita nella chiesa di Santa Croce a Firenze, dove ebbe la possibilità di vedere le tombe di grandi uomini  come Dante, Machiavelli e Michelangelo, uomini che con la loro opera hanno lasciato un segno indelebile sulla terra. Il poeta afferma che dopo questa visita sentì nascere dentro di lui il desiderio di imitarli compiendo egregie imprese.
Fa l'esempio di Giuseppe Parini, il poeta lombardo che fu sepolto in una fossa comune senza una targa in memoria della sua grandezza.
Conclude il carme con la bella immagine  di Cassandra, figlia di Priamo, che dopo la guerra di Troia e la sconfitta porta i giovinetti superstiti a visitare le tombe degli avi, recuperando attraverso la memoria la loro eredità di valori.


lunedì 2 novembre 2020

 I moti del 1830-1831


Mappa concettuale



Le carceri del Palazzo Ducale  di Genova nei primi decenni dell' 800 erano destinate ad ospitare detenuti politici. E' facile immaginare quale fosse la vita nelle prigioni: il poco vitto ed i disagi delle intemperie minavano in poco tempo la salute dei detenuti. I carcerati riposavano su fetidi pagliericci, avvolgendosi in coperte sporche e spesso nell'inverno, quando la tramontana ed il nevischio imperversavano attraverso le inferriate, usavano pagliericci e coperte per ripararsi alla meglio ammucchiandoli lungo i finestroni.

In questa cella fu rinchiuso Jacopo Ruffini, patriota e amico di Mazzini, fu l'anima di un movimento che avrebbe dovuto provocare un moto insurrezionale a Genova e Alessandria nel giugno del 1833. Arrestato nella notte tra il 13 ed il 14 maggio, fu rinchiuso nella torre di Palazzo Ducale e sottoposto a lunghi e tormentosi interrogatori. Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno i guardiani delle carceri lo trovarono nella sua cella morto, steso a terra immerso nel proprio sangue. L'autopsia stabilì che la morte era stata causata dalla recisione della carotide,  effettuata tramite un "istrumento puntuto". Le autorità sostennero la tesi del suicidio, che tuttavia non convinse l'opinione pubblica. Jacopo Ruffini era destinato al patibolo, ma la sua esecuzione avrebbe potuto dare ulteriore spinta ai moti insurrezionali, facendo di lui un martire. La soluzione dell'omicidio ben mascherato da suicidio consentiva di liberarsi del capo dei rivoltosi, facendolo passare per un vile che si era tolto la vita.

Persino Giuseppe Garibaldi si trovò in queste prigioni dopo essere stato arrestato in seguito alla caduta della Repubblica romana nel 1849.