Conosciamo un nuovo genere letterario: la Lettera
Leggiamo insieme la lettera " Capitolo figlia, sta crescendo", tratta dall' antologia "L'avventura del lettore" e la Lettera classica di Seneca a Lucilio.
Adesso provate ad individuare le differenze tra le due lettere
Lettera di Seneca a Lucilio
La malattia mi aveva accordato
una lunga tregua; all’improvviso mi ha assalito ancora. “Di che malattia
parli?” chiederai. Domanda giusta: nessun male mi è sconosciuto. Ma a uno in
particolare sono come destinato: non so perché dovrei usare un termine greco:
“difficoltà di respiro” è una definizione abbastanza adatta. L’attacco è
brevissimo e simile a una tempesta; finisce per lo più nel giro di un’ora: e
chi mai potrebbe agonizzare a lungo? Su di me sono passati tutti i
malanni e i pericoli cui è soggetto il nostro corpo, ma nessuno mi sembra più
penoso. E perché no? Qualunque altra infermità significa essere malati, questa
è esalare l’anima. Perciò i medici la chiamano “preparazione alla morte”: un
giorno il respiro riesce a fare quello che ha spesso tentato. Se mi compiacessi di questa
stasi come di una guarigione sarei ridicolo, quanto un individuo che pensasse
di aver vinto solamente perché è riuscito a rimandare il processo. Ma io, anche
quando ero sul punto di soffocare, ho sempre trovato conforto in pensieri lieti
e forti. “Che c’è?” mi dico, “La morte mi mette alla prova tanto spesso?
Faccia pure: l’ho sperimentata a lungo.” “Quando?” mi chiedi. Prima di nascere.
La morte è non esistere. E ormai so com’ è: dopo di me sarà ciò che fu prima di
me. Se nella morte c’è tormento, ci fu necessariamente anche prima che
venissimo alla luce; ma allora non sentimmo nessuna sofferenza. Ti chiedo: se uno pensasse che
per una lucerna è peggio quando è spenta che prima di essere accesa, non lo
giudicheresti veramente stupido? Anche noi ci accendiamo e ci spegniamo: in
quell’ intervallo proviamo qualche sofferenza; prima e dopo, invece, c’è una
profonda serenità. Questo, se non m’inganno, è il nostro errore, Lucilio mio:
crediamo che la morte ci segua e, invece, ci ha preceduto e ci seguirà. Tutto
quello che è stato prima di noi è morte; che importa se non cominci oppure
finisci, quando il risultato in entrambi i casi è questo: non esistere. Ho continuato a rivolgere a me
stesso queste e altre esortazioni dello stesso tipo (in silenzio, s’intende:
non potevo parlare); poi a poco a poco quella difficoltà di respiro, che ormai
cominciava a essere affanno, venne a intervalli maggiori e si arrestò. Ma ha
lasciato uno strascico e pur essendo finito l’attacco, la respirazione non è
ancora tornata alla normalità; sento che è come impacciata e impedita. Sia come
sia, purché l’affanno non provenga dall’anima. Tieni questo per certo: non
trepiderò nel momento supremo, sono ormai preparato, non faccio programmi per
l’intera giornata. Tu apprezza e imita l’uomo a cui non rincresce morire,
quando vivere gli è gradito: che coraggio ci sarebbe a morire, se si è banditi
dalla vita? Tuttavia, anche in questo caso ci può essere coraggio: sì, sono
scacciato, ma me ne vado come se lo facessi di mia volontà. Perciò il saggio
non sarà mai scacciato: essere scacciato significa essere allontanato da un
luogo contro la propria volontà; ma il saggio non fa niente contro la sua
volontà; sfugge alla necessità perché vuole ciò che essa gli imporrà di fare.
Stammi bene.
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