mercoledì 25 ottobre 2017

Giacomo Leopardi







L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s'annega il pensier mio:
E il naufragar m'è dolce in questo mare.

Una delle liriche più famose di Leopardi è intitolata "L'infinito" ed è stata scritta da un giovanissimo Leopardi quando aveva solo diciassette anni. La poesia appartiene alla raccolta "I Canti", in cui possiamo trovare i Grandi e i Piccoli Idilli, composizioni poetiche che si differenziano per l'epoca in cui sono state scritte.
L'idillio è una composizione molto antica, risalente all'epoca della Grecia classica ed ellenistica utilizzata dai poeti per rappresentare dei bozzetti naturalistici, descrivendo ambienti naturali e paesaggi agresti.
Leopardi prende spunto da questi componimenti classici, dalla tradizione antica che fa riferimento al poeta Teocrito, ma essendo un uomo moderno, rispecchia la visione del mondo della sua epoca ed inserisce nell'idillio tutte le sue inquietudini interiori, le emozioni che sente nascere dentro di sé.  L'idillio leopardiano non è più solo un bozzetto paesaggistico, ma si carica di una nuova connotazione.
Il paesaggio naturale, diventa, pertanto, una base su cui innestare l'espressione del suo mondo interiore fatto di sentimenti, pensieri, emozioni.
Il giovane Leopardi è solito interrompere gli studi e recarsi su una collina non lontano dalla sua casa, il monte Tabor, oggi detto "Colle dell'infinito".
Il poeta, seduto sulla sommità del colle, guarda il panorama davanti a sé si rende conto che c'è un ostacolo, una siepe, che gli impedisce di spingere il suo sguardo fino alla linea d'orizzonte. Ma proprio la presenza della siepe mette in moto la sua immaginazione ( Io nel pensier mi fingo), poiché  il poeta inizia ad immaginare cosa ci sia al di là di quel limite e la sua mente immagina spazi sconfinati dove regna silenzio ed una profondissima quiete ( Uso della congiunzione avversativa "ma" e dei due verbi al gerundio  sedendo e mirando).
Grazie all'immaginazione ecco l'idea dell'infinito spaziale, ben espressa attraverso l'uso di aggettivi che esprimono l'idea dell'infinito senza limiti: gli spazi sono "sterminati", i silenzi sono "sovrumani" e la quiete "profondissima".La percezione dell'infinito spaziale fa nascere nell'animo del poeta un'emozione forte, per cui egli dice che " per poco il cor non si spaura".
A questo punto il poeta avverte una sensazione uditiva, sente il fruscio del vento che soffia e fa un paragone tra il sovrumano silenzio che aveva immaginato prima ed il rumore del vento, ed avverte il pensiero dell'eterno fluire del tempo, delle epoche passate e di quella attuale che lo riporta al presente, di cui riesce a sentire anche il suono.
Da questo momento l'animo del poeta è invaso da una miriade di sensazioni e l'infinito spaziale e temporale si uniscono un una sola sensazione di immensità, in cui il poeta annega in un mare di dolcezza.
Tutte le sue sofferenze ed i suoi tormenti trovano, così, un momento di conforto.

Analisi del testo:
  • Parole chiave in posizione strategica a inizio e fine verso 
  • Uso degli aggettivi "questo" e "quello" per indicare vicinanza e lontananza
  • Presenza di molti enjambements
  • Inversioni ( nella costruzione della frase: sogg. -predicato -compl)