domenica 3 novembre 2019

G. Ungaretti- L'allegria; Il porto sepolto



La lirica “Risvegli” fu scritta da G. Ungaretti nel 1916, in uno dei momenti più significativi della sua vita, quando il poeta, partito volontario e inizialmente convinto interventista, prende parte alla Prima Guerra Mondiale, combattendo nelle trincee sul fronte del Carso. L’esperienza diretta della guerra, però, lo pone di fronte all’orrore del conflitto, all’atrocità ed alla violenza dei combattimenti che provocano uno stato di disumanizzazione dell’io e gli fa sentire il bisogno di recuperare l’essenza della vita attraverso la memoria e l’uso della scrittura. Il riferimento al luogo e al tempo precisi della composizione ( Mariano, 29 Giugno 1916) ci offre molte informazioni importanti: siamo nel periodo più difficile della guerra sul fronte italiano, la sperata guerra-lampo si è trasformata in una estenuante guerra di posizione combattuta nelle trincee a pochi passi dal fuoco nemico, con il continuo pericolo di perdere la vita da un momento all’altro.
Scritta in una delle fasi di riposo tra un attacco e l’altro, essa risponde al bisogno di prendere carta e penna e testimoniare attraverso la scrittura la propria esperienza riscoprendo il valore dell’esperienza umana che in quel momento sembrava irrimediabilmente perduto.
Lo stesso titolo della lirica allude ad un “risveglio” dal sonno in cui l’essere  umano è caduto in quella particolare condizione storica che ha causato la guerra, riscoprendo il valore della vita in tutte le sue forme attraverso il ricordo.
Il tema principale della lirica è, infatti, il valore della memoria, il ricordo di un passato rimasto nascosto in una parte profonda dell’animo del poeta, contemplata da lontano. Nella prima strofa si fa riferimento ad “altre vite” vissute in “un’epoca fonda” che lui osserva da “fuori” ed in questo tentativo di recuperare il passato ormai perso si allontana dal presente. Da questo continuo perdersi nella profondità di un mare di ricordi riemergono immagini familiari, cose consuete a lui care, che suscitano nel poeta una sensazione  di sorpresa ed un clima di  serenità e di dolcezza di leopardiana memoria, riuscendo a guardare il presente con occhi nuovi.
La stessa visione dello spazio circostante  diventa occasione di riflessione e ricordo: il poeta si sofferma a “rincorrere le nuvole”, che, con il loro sciogliersi e mutar forma continuamente, rappresentano l’eterno mutare della realtà, legge che regola l’esistenza stessa. La visione delle nuvole fa scaturire il ricordo delle persone a lui care, che hanno perso la vita, pur continuando a vivere nella sua mente. Anche nella lirica “San Martino del Carso” il poeta aveva espresso il valore della memoria dei compagni morti in battaglia con l’immagine del suo cuore pieno di croci, una per ogni persona che aveva conosciuto e che la guerra aveva strappato via  senza lasciare neanche un “brandello”.
La riflessione successiva nasce spontaneamente: l’esistenza di Dio. Un solo verso, una domanda diretta lasciata staccata dal resto della lirica per evidenziare il valore di ogni singola parola, la sua essenza più profonda. In un mondo in cui tutto è finito e limitato nello spazio e nel tempo, dove le nuvole si aggregano e si disfano nel vento e la vita degli uomini è fragile come le foglioline sui rami degli alberi in autunno ( come descritto nella lirica “Soldati”) il poeta si pone una domanda sull’esistenza di Dio, essere infinito ed assoluto. La sua risposta è positiva. Nella strofa successiva, infatti, l’uomo, “creatura atterrita” dalla follia della guerra e dalla sua atroce violenza, sbarra gli occhi guardando con meraviglia e stupore lo spettacolo della natura, del cielo, in cui luccicano gocciole di stelle che sembrano partecipare alle sofferenze umane, ridando un aspetto nuovo a quel paesaggio scarno e doloroso. La scelta impersonale del termine “creatura atterrita” al posto dell’”io” del resto del componimento si spiega considerando sia il significato del termine “creatura”, essere vivente creato da Dio e parte infinitesima dell’universo, sia il fatto che la sofferenza del poeta è universalmente condivisa. La visione dello spettacolo meraviglioso della natura ha un effetto benefico sull’animo del poeta, che si sente “riavere”, recupera energia vitale, positività, speranza in un futuro diverso dal presente che sta vivendo.
La tragedia del presente è ben espressa attraverso le scelte  metriche e stilistiche. La brevità della lirica, delle strofe e del verso ( a volte costituito da una sola parola), la presenza di spazi bianchi, la sapiente collocazione delle parole-chiave, l’uso di enjambements (v.10-11, 16-17, 19-20, 25-26) e la mancanza di punteggiatura, a parte il punto interrogativo al v. 18, contribuiscono nel creare la sensazione di un fluire continuo di pensieri, evidenziando il valore della parola in sé, senza il ricorso ad abbellimenti superflui.
"Notte stellata" - Van Gogh
Leggendo la poesia non si può fare a meno di ritrovare riferimenti ad opere di altri autori, come G. Leopardi e G. Pascoli. Il “bagno” di cose consuete della lirica suscita nel poeta una sensazione di dolcezza  come accade al giovane Leopardi ne “L’infinito” (“e il naufragar m’è dolce in questo mare”). Il contatto con la natura, in entrambi i casi, allevia le sofferenze e fa rinascere speranze, recuperando il valore dell’esistenza.
Anche l’immagine delle “gocciole di stelle” rimanda al “pianto di stelle” della lirica “X Agosto” di Pascoli e al pensiero di un cielo infinito che partecipa alle sofferenze degli esseri viventi, nel tentativo di alleviarne il dolore.

La lirica potrebbe essere considerata un vero e proprio messaggio di pace, che oggi assume un significato profondo come testimonianza del dramma della guerra e del dovere di preservare la memoria come impegno di ciascuno di noi.