G. Ungaretti- L'allegria; Il porto sepolto |
La lirica “Risvegli” fu scritta
da G. Ungaretti nel 1916, in uno dei momenti più significativi della sua vita,
quando il poeta, partito volontario e inizialmente convinto interventista,
prende parte alla Prima Guerra Mondiale, combattendo nelle trincee sul fronte
del Carso. L’esperienza diretta della guerra, però, lo pone di fronte all’orrore
del conflitto, all’atrocità ed alla violenza dei combattimenti che provocano
uno stato di disumanizzazione dell’io e gli fa sentire il bisogno di recuperare
l’essenza della vita attraverso la memoria e l’uso della scrittura. Il
riferimento al luogo e al tempo precisi della composizione ( Mariano, 29 Giugno
1916) ci offre molte informazioni importanti: siamo nel periodo più difficile
della guerra sul fronte italiano, la sperata guerra-lampo si è trasformata in
una estenuante guerra di posizione combattuta nelle trincee a pochi passi dal
fuoco nemico, con il continuo pericolo di perdere la vita da un momento all’altro.
Scritta in una delle fasi di
riposo tra un attacco e l’altro, essa risponde al bisogno di prendere carta e
penna e testimoniare attraverso la scrittura la propria esperienza riscoprendo
il valore dell’esperienza umana che in quel momento sembrava irrimediabilmente
perduto.
Lo stesso titolo della lirica
allude ad un “risveglio” dal sonno in cui l’essere umano è caduto in quella particolare
condizione storica che ha causato la guerra, riscoprendo il valore della vita
in tutte le sue forme attraverso il ricordo.
Il tema principale della lirica
è, infatti, il valore della memoria, il ricordo di un passato rimasto nascosto
in una parte profonda dell’animo del poeta, contemplata da lontano. Nella prima
strofa si fa riferimento ad “altre vite” vissute in “un’epoca fonda” che lui
osserva da “fuori” ed in questo tentativo di recuperare il passato ormai perso
si allontana dal presente. Da questo continuo perdersi nella profondità di un
mare di ricordi riemergono immagini familiari, cose consuete a lui care, che
suscitano nel poeta una sensazione di
sorpresa ed un clima di serenità e di
dolcezza di leopardiana memoria, riuscendo a guardare il presente con occhi
nuovi.
La stessa visione dello spazio
circostante diventa occasione di
riflessione e ricordo: il poeta si sofferma a “rincorrere le nuvole”, che, con
il loro sciogliersi e mutar forma continuamente, rappresentano l’eterno mutare
della realtà, legge che regola l’esistenza stessa. La visione delle nuvole fa
scaturire il ricordo delle persone a lui care, che hanno perso la vita, pur
continuando a vivere nella sua mente. Anche nella lirica “San Martino del Carso”
il poeta aveva espresso il valore della memoria dei compagni morti in battaglia
con l’immagine del suo cuore pieno di croci, una per ogni persona che aveva
conosciuto e che la guerra aveva strappato via
senza lasciare neanche un “brandello”.
La riflessione successiva nasce
spontaneamente: l’esistenza di Dio. Un solo verso, una domanda diretta lasciata
staccata dal resto della lirica per evidenziare il valore di ogni singola
parola, la sua essenza più profonda. In un mondo in cui tutto è finito e
limitato nello spazio e nel tempo, dove le nuvole si aggregano e si disfano nel
vento e la vita degli uomini è fragile come le foglioline sui rami degli alberi
in autunno ( come descritto nella lirica “Soldati”) il poeta si pone una
domanda sull’esistenza di Dio, essere infinito ed assoluto. La sua risposta è
positiva. Nella strofa successiva, infatti, l’uomo, “creatura atterrita” dalla
follia della guerra e dalla sua atroce violenza, sbarra gli occhi guardando con
meraviglia e stupore lo spettacolo della natura, del cielo, in cui luccicano
gocciole di stelle che sembrano partecipare alle sofferenze umane, ridando un
aspetto nuovo a quel paesaggio scarno e doloroso. La scelta impersonale del
termine “creatura atterrita” al posto dell’”io” del resto del componimento si
spiega considerando sia il significato del termine “creatura”, essere vivente
creato da Dio e parte infinitesima dell’universo, sia il fatto che la
sofferenza del poeta è universalmente condivisa. La visione dello spettacolo
meraviglioso della natura ha un effetto benefico sull’animo del poeta, che si
sente “riavere”, recupera energia vitale, positività, speranza in un futuro
diverso dal presente che sta vivendo.
La tragedia del presente è ben
espressa attraverso le scelte metriche e
stilistiche. La brevità della lirica, delle strofe e del verso ( a volte
costituito da una sola parola), la presenza di spazi bianchi, la sapiente
collocazione delle parole-chiave, l’uso di enjambements (v.10-11, 16-17, 19-20,
25-26) e la mancanza di punteggiatura, a parte il punto interrogativo al v. 18,
contribuiscono nel creare la sensazione di un fluire continuo di pensieri,
evidenziando il valore della parola in sé, senza il ricorso ad abbellimenti
superflui.
"Notte stellata" - Van Gogh |
Leggendo la poesia non si può
fare a meno di ritrovare riferimenti ad opere di altri autori, come G. Leopardi
e G. Pascoli. Il “bagno” di cose consuete della lirica suscita nel poeta una
sensazione di dolcezza come accade al
giovane Leopardi ne “L’infinito” (“e il naufragar m’è dolce in questo mare”). Il
contatto con la natura, in entrambi i casi, allevia le sofferenze e fa
rinascere speranze, recuperando il valore dell’esistenza.
Anche l’immagine delle “gocciole
di stelle” rimanda al “pianto di stelle” della lirica “X Agosto” di Pascoli e
al pensiero di un cielo infinito che partecipa alle sofferenze degli esseri
viventi, nel tentativo di alleviarne il dolore.
La lirica potrebbe essere
considerata un vero e proprio messaggio di pace, che oggi assume un significato
profondo come testimonianza del dramma della guerra e del dovere di preservare
la memoria come impegno di ciascuno di noi.