lunedì 2 novembre 2020

 I moti del 1830-1831


Mappa concettuale



Le carceri del Palazzo Ducale  di Genova nei primi decenni dell' 800 erano destinate ad ospitare detenuti politici. E' facile immaginare quale fosse la vita nelle prigioni: il poco vitto ed i disagi delle intemperie minavano in poco tempo la salute dei detenuti. I carcerati riposavano su fetidi pagliericci, avvolgendosi in coperte sporche e spesso nell'inverno, quando la tramontana ed il nevischio imperversavano attraverso le inferriate, usavano pagliericci e coperte per ripararsi alla meglio ammucchiandoli lungo i finestroni.

In questa cella fu rinchiuso Jacopo Ruffini, patriota e amico di Mazzini, fu l'anima di un movimento che avrebbe dovuto provocare un moto insurrezionale a Genova e Alessandria nel giugno del 1833. Arrestato nella notte tra il 13 ed il 14 maggio, fu rinchiuso nella torre di Palazzo Ducale e sottoposto a lunghi e tormentosi interrogatori. Nella notte tra il 18 ed il 19 giugno i guardiani delle carceri lo trovarono nella sua cella morto, steso a terra immerso nel proprio sangue. L'autopsia stabilì che la morte era stata causata dalla recisione della carotide,  effettuata tramite un "istrumento puntuto". Le autorità sostennero la tesi del suicidio, che tuttavia non convinse l'opinione pubblica. Jacopo Ruffini era destinato al patibolo, ma la sua esecuzione avrebbe potuto dare ulteriore spinta ai moti insurrezionali, facendo di lui un martire. La soluzione dell'omicidio ben mascherato da suicidio consentiva di liberarsi del capo dei rivoltosi, facendolo passare per un vile che si era tolto la vita.

Persino Giuseppe Garibaldi si trovò in queste prigioni dopo essere stato arrestato in seguito alla caduta della Repubblica romana nel 1849.

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