venerdì 1 aprile 2016

Giovanni Pascoli






X Agosto


Questa lirica, scritta da Giovanni Pascoli, appartiene alla raccolta Myricae e trae ispirazione da uno spunto autobiografico, ovvero la morte del padre avvenuta in maniera violenta per mano di due sicari e senza apparente motivo. Il poeta cerca una spiegazione plausibile di fronte a tanto dolore e a tanta irragionevole violenza, e la trova nell'idea di un mondo dominato dal male.
E' la notte di San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti ed il poeta utilizza questo fenomeno naturale  per ricordare il suo dolore ed esprimere la sua pessimistica visione del mondo.
La lirica è formata da sei strofe, costituite da versi novenari e decasillabi; ogni strofa è una quartina.
Nella prima strofa il poeta  dice di sapere perché quella notte tante stelle  si vedono cadere come un pianto che illumina il cielo vuoto.
La spiegazione del fenomeno viene rimandata alla seconda quartina dove compare la figura di una rondine che viene uccisa mentre in volo sta portando il cibo per i suoi rondinini e cade tra le spine come Gesù, tenendo nel becco il verme che non arriverà mai al nido, dove i suoi piccoli la aspettano invano. La rondine, colpita a morte, ingiustamente, rimane tra le spine come in croce ed il suo ultimo tentativo è di tendere il verme verso il cielo , che, però, appare lontano, insensibile al suo dolore. La strofa si conclude con l'immagine dei piccoli rondinini rimasti soli nel nido ad attendere il cibo che non arriverà mai e che saranno condannati ad un  destino di morte certa.
Nella quarta e quinta strofa compare la figura umana e il poeta fa un paragone tra la figura del padre e la rondine, entrambi morti innocenti. Anche il padre fu ucciso mentre tornava a casa, nel suo nido, dove conduceva una vita tranquilla, mentre portava due bambole in dono per le sue figlie che lo aspettavano con ansia. L'uomo, sbalordito ed incredulo di fronte alla morte violenta, mostra le bambole al cielo chiedendo pietà e protezione per la sua famiglia.
Nell'ultima strofa si riprende il concetto iniziale perché il poeta si rivolge al cielo e dice che la terra è piccola in confronto all'universo immortale e resta indifferente, non partecipa al dolore umano.
La Terra viene definita metaforicamente "atomo opaco del male": in tal modo viene messa in evidenza la sua piccolezza in confronto all'infinità dell'universo. Inoltre l'aggettivo "opaco" fa riferimento al mistero che avvolge il mondo, immerso dal'oscurità del male.

Novembre



La lirica fa parte della raccolta "Myricae". E' composta da tre strofe, tutte quartine,  in cui i primi tre versi sono endecasillabi ed il quarto è un quinario, cioè formato da cinque sillabe.
Scopo del poeta non è quello di offrirci una splendida scena paesaggistica, ma di dimostrare l'inganno dei sensi, che non permettono all'uomo di avere conoscenze oggettive della realtà circostante.
 Gli esseri umani hanno un primo impatto con la realtà attraverso i cinque sensi, ma essi ci permettono solo un approccio soggettivo, dal nostro personale punto di vista e spesso giungiamo a delle conclusioni sbagliate e ingannevoli. E' compito del poeta quello di togliere il velo, la nebbia che ricopre l'universo perché rispetto alle persone normali è dotato di una sensibilità superiore, che gli permette di scorgere in particolari attimi di illuminazione  la realtà.
La lirica è composta da tre strofe.
Nella prima strofa il poeta parte dalla descrizione di una sua esperienza personale e sembra offrirci la visione di un paesaggio naturale primaverile, completamente in contrasto con quanto potremmo aspettarci dal titolo, dedicato ad un mese autunnale di solito piovoso e buio. In questa prima sequenza il poeta descrive il paesaggio agreste così come viene percepito dai suoi sensi: l'aria è splendente come una gemma, una pietra preziosa, il sole brilla con raggi chiari e luminosi, al punto tale da indurre lo spettatore in errore, facendogli credere di essere in primavera, andando quasi a ricercare gli albicocchi in fiore e quasi sentendo l'odore amarognolo del pruno fiorito (il biancospino).
In realtà queste sensazioni si avvertono non attraverso gli organi di senso (vista, olfatto), ma nel "cuore", cioè attraverso la memoria, che collega le situazioni presenti ad esperienze passate, giungendo, quindi, ad un errore di valutazione. Questa sequenza è possibile intitolarla "Falsa primavera".
Nella seconda strofa ritroviamo il ritorno alla realtà: il poeta si accorge che i sensi sono stati illusori e che non è primavera ma autunno. Si potrebbe intitolare la sequenza "Ritorno alla realtà": osservando più attentamente il poeta scorge dei segni che gli fanno capire che la primavera è lontana; egli nota gli alberi, che aveva creduto rigogliosi, in realtà secchi, il cielo sereno segnato dai rami delle piante "stecchite", che si dispongono a formare un fitto ricamo di "nere trame". il cielo, seppur sereno,  è "vuoto", privo della vitalità degli uccelli e delle rondini di primavera ed anche il terreno sembra arido, senza vita, sotto il piede del visitatore. Finora abbiamo individuato soprattutto sensazioni visive ed olfattive, minori quelle uditive e tattili.
Nella terza strofa il poeta si rende conto dell'errore: tutt'intorno c'è un silenzio privo di vita e l'unica sensazione che si avverte è quella del lieve rumore delle foglie (cader frale) che cadono dagli alberi di orti e giardini, e simboleggia l'ultima stagione della vita, prima della morte. La frase " E' l'estate, fredda, dei morti" rimanda all'idea della fragilità della vita umana e all'inesorabilità della morte.
Qui compare una figura retorica, l' ossimoro, consistente nell'accostare due concetti opposti, in questo caso "estate", cioè una stagione calda dell'anno e "fredda", concetto diametralmente opposto.
Negli ultimi due versi il poeta, infatti, svela il mistero: è l'estate breve di san Martino, che preannuncia il freddo rigore invernale.Ricordiamo la leggenda del santo militare S, Martino, che incontrando il poverello gli donò il proprio mantello e venne per questo ripagato da Dio con alcuni giorni di bel tempo.
Con questa lirica il poeta esprime la sua personale visione del mondo, secondo cui l'essere umano non può mai avere una visione certa e inconfutabile della realtà perché dati oggettivi non esistono e gli stessi sensi ci ingannano, facendoci conoscere solo una realtà mutevole e soggettiva.
Questa lirica si colloca perfettamente nel panorama del Decadentismo europeo, e in qualche modo risente degli influssi della crisi dei valori che contraddistingue il pensiero diffuso a partire dagli ultimi decenni del '900, quando si perde la fiducia nella scienza e si diffondono nuove teorie come quella della relatività di Einstein, che mette in discussione ogni conoscenza, mettendola in relazione con il punto di vista soggettivo dell'osservatore.
Schema delle rime: rime alternate ABAB. Vari enjambements.


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Decadentismo